12/11/2019 – La vite e il vino nella Bibbia

12/11/2019 - La vite e il vino nella Bibbia

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Padre Luciano Larivera S.I., nato a Milano nel 1968, si è laureato in Economia Aziendale all’Università Bocconi nel 1992 ed è entrato nel noviziato nell’ordine monastico dei gesuiti “Compagnia di Gesù” nel 1993. Ordinato sacerdote nel 2004, ha concluso la formazione accademica nel 2005 con la Licenza in Teologia Morale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Dal 2005 al 2015 è stato membro del Collegio degli scrittori La Civiltà Cattolica ed è autore di numerosi articoli su politica internazionale, economia e giustizia internazionale. Da settembre 2015 vive a Trieste, dove è superiore della comunità gesuita e direttore del Centro Culturale Veritas.

Da una Trieste sott’acqua, martedì 12 novembre 2019, ha raggiunto il Collio Goriziano, Al declinar del giorno, la pioggia torrenziale e il buio avvolgono le verdi colline.
Ma padre Luciano riesce, con la sua narrazione sulla vite e sul vino nella Bibbia, a suscitare l’immaginazione delle persone che né il tempo né la distanza han fatto desistere. Sull’uscio dell’Azienda Komjanc, Roberto e Raffaella accolgono i francescani, i gesuiti, i diocesani, i seminaristi, i sacerdoti e l’Arcivescovo di Gorizia mentre Mosè, notando che le già tante sedie non sono sufficienti per tutti, si premura di prenderne assicurandosi che tutti possano seguire, comodamente, la conversazione.

La parola vino, esordisce padre Luciano, nella Bibbia viene citata ben 278 volte in 258 versetti, mentre la parola vite ricorre 141 volte in 135 versetti.
Il vino è spesso legato alle religioni, con significati e simbolismi diversi.
Nell’Antico Testamento il vino è considerato un dono di Dio. Nei banchetti non poteva mai mancare il calice del vino: con esso si pronunciava la preghiera del ringraziamento.
Nel Nuovo Testamento il vino è considerato simbolo di salvezza. Prima di offrirsi nel calice della nuova alleanza, Cristo si riconosce vite e riconosce nel Padre il vignaiolo.
In Gesù il vino ha il carattere glorioso della festa e quello drammatico del sangue.
Il primo miracolo di Gesù è la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana.
Il vino scandisce l’esistenza dell’uomo nella vita quotidiana, fino alla sobria ebrietas, vertice dell’esperienza mistica e contemplativa secondo una tematica variamente ripresa dalla tradizione platonica, gnostica e cristiana. Oltre la sobria ebrietas,
in vino veritas: il vino allenta i freni inibitori e diviene fonte di verità.
Per un viticoltore, se è cristiano, la massima speranza è che una parte di quel vino che produce arrivi sull’altare. Il vino così, da semplice bevanda, diventa sangue di Cristo: è il miracolo più bello, culmine di tutta la vita cristiana.

Il vino si usava nei riti sacrificali nel Tempio (Es 29, 40; Esd 6,9), come ricostituente (2Sam 16, 1-2; 1 Tim 5,23 ), come medicina (Lc 10, 25-37). Nelle storie patriarcali, il vino buono e abbondante è segno della benedizione di Dio. Melchidesek benedice Abramo offrendogli pane e vino (Gen 14,18-20). Al figlio Giacobbe, Isacco augura abbondanza di frumento e di mosto (Gen 27, 28). Giacobbe, benedicendo Giuda, associa la venuta del futuro Messia a un abbondante produzione di vino (Gen 49,10-12). La terra che Dio ha donato al suo popolo è una terra buona che produce ottimo vino (Dt 33,28-29). Il vino rappresenta l’amore degli sposi (Ct 1,2b; 2,14; 7,10a; 8,2b). Nell’era messianica Dio non farà mancare il vino, che sarà il suo segno principale (Am 9,14; Is 25,6), le montagne stilleranno vino nuovo (Gl 4,16). Il vino è il dono che la sapienza offre a chi vuole essere saggio: «Venite!… Bevete il vino che ho preparato!» (Pr 9,1-5; Sir 24,17s). A chi vive nella retta via, il sapiente consiglia di bere il vino con cuore lieto perché Dio ha gradito le tue opere (Sir 9,7).

L’assenza del vino produce tristezza e indica pure la mancanza di vita e di amore (Is 16,10). Il vino che allieta il cuore (Sal 104,15) va bevuto nella giusta misura. I libri sapienziali mettono in guardia dai suoi effetti nocivi. La storia di Noè che bevve fino a ubriacarsi, narrata nei primi capitoli della Genesi (Gen 9,20-23), lo testimonia. I sapienti avvertono: «Allegria del cuore e gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura… L’ubriachezza accresce l’ira dello stupido a sua rovina…» (Sir 31,25-30). «I tuoi occhi vedranno cose strane e la tua mente dirà cose sconnesse. Ti parrà di giacere in alto mare o di dormire in cima all’albero maestro…» (Pr 23,34-35). Tobia al figlio raccomanda di non bere vino fino all’ebbrezza e non avere per compagna del viaggio l’ubriachezza (Tb 4,14-15). Dal vino sono tenuti ad astenersi per periodi necessari i ministri del culto (Lv 10,8-11) e coloro che devono compiere azioni importanti come i re e i nazirei (Prov 31,4-7; Nm 6,2-4.13-15.20d).

Nel Nuovo Testamento, Gesù che beveva vino (Mt 11,19; Lc 7,33s) lo indicò come segno di festa (Mc 2,18-20). La novità del suo messaggio, come il vino nuovo (Mc 2,22), è incompatibile con l’antico. Nel Vangelo di Giovanni, durante le nozze di Cana (Gv 2,1-10) compie il primo segno cambiando l’acqua in vino. Il vino che Egli offre è nuovo, abbondante e migliore. Questo vino è simbolo della nuova alleanza che inaugura l’era messianica annunciata dai profeti (Am 9,13ss; Gl 2,24; 4,18; Is 25,6). Gesù è lo sposo messianico che offre il suo vino – pienezza di vita – alla sua sposa, Israele/Chiesa.

Se Noè è ricordato come fondatore della viticoltura ed anche come colui che, per primo, sperimentò gli effetti inebrianti del vino, l’Azienda vinicola Alessio Komjanc di San Floriano sarà ricordata anche per il Pinot Bianco, vincitore del prestigioso premio Platinum Winehunter 2019, con cui, al termine dell’incontro con padre Luciano, Roberto brinda, con la sua simpatia e affabilità, insieme a tutti i partecipanti.
A servire i commensali, girando con vassoi colmi di vol au vant e rusticini, verdure pastellate e anelli di cipolla, sono don Maurizio Qualizza e don Nicola Ban, mentre Raffaella, con pratica e maestria, taglia il prosciutto cotto a mano che Monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli e Mosè serviranno, poi, a tutti, insieme a pane e focaccia.
Un calice di Ribolla gialla viene offerto insieme alle fave triestine e ad una fetta del panettone artigianale Giotto prodotto nel carcere di Padova: connubio perfetto tra prodotto locale e progetto sociale.
Il vino è qualcosa di più di un semplice complemento al pasto: è la bevanda della gioia, della vita e della festa. Così è quel momento convivale: gioia, vita, festa.
Gesù, come ben ha ricordato padre Luciano poco prima, amava stare a tavola, mangiare e bere gustando la compagnia dei suoi e di coloro che, invitandoli nelle loro case, desideravano dare un nuovo sapore alla loro vita.

Quante strade il Signore ha percorso, quante case ha visitato, quanti luoghi ha dimorato pur di incontrare l’uomo! Si è fatto prossimo, abitando le distanze, partendo dai bisogni della gente, dai loro desideri, facendo leva sulla libertà di ogni persona affinché l’incontro fosse autentico; per far questo, prima di tutto, è uscito.

Tra il vino e l’incontro c’è in comune la cultura. “Cultura” nasce dal verbo latino “colere”: coltivare. Dietro ad un buon calice di vino, come dietro ad una vera relazione umana, ci sono la passione, la pazienza, la perseveranza…in una parola: la cura.
E mentre fuori imperversava un tempo da lupi la fraternità francescana di Gorizia ha scelto di seguire Gesù, sull’esempio di San Francesco, per compiere quei gesti, quelle azioni che il Maestro insegnò ai suoi discepoli e che Francesco, appena prima di morire, pregò il Padre di insegnare ai suoi frati. Un incontro fraterno conviviale, dunque: terreno fertile per rapporti affettivi che danno gusto alla vita.

Il tepore dell’estate di san Martino è racchiuso tutto lì, in una Sala degustazione sopra una cantina, nella splendida cornice del Collio goriziano.

Silvia, Fraternità di Gorizia

Fraternità Regionale del Friuli-Venezia Giulia “Beato Odorico da Pordenone” 2019 – © RIPRODUZIONE RISERVATA