Beato Odorico da Pordenone, Patrono delle Fraternità Regionale del Friuli Venezia-Giulia – 14 gennaio

Odorico da Pordenone

Odorico da Pordenone

Odorico da Pordenone, al secolo Odorico Mattiussi o Mattiuzzi (Villanova di Pordenone, 1265 – Udine, 14 gennaio 1331) Entrato ancora adolescente nel convento di san Francesco, a Udine, dove fu ordinato sacerdote dell’ordine francescano ofm (1290), si distinse per zelo, austerità e quel fervore missionario che lo porterà a lasciare il proprio paese per l’Asia Minore prima, e incontrare poi i Mongoli, successivamente la Cina e l’India per poi tornare in patria e riferire al Papa sulla situazione delle missioni in Oriente. La sua opera di apostolato gli meritò il nome di “Apostolo dei Cinesi”.
Giunto a Thane (che ora è un sobborgo di Bombay), Odorico classificò la popolazione come idolatra, perché adoravano fuoco, serpenti ed alberi. Ma la città era stata conquistata di recente dai musulmani, i quali condizionavano la vita religiosa.
Dalla Persia Odorico e frate Giacomo giunsero fino a Trebisonda e da lì, imbarcati su una nave veneziana, giunsero prima a Venezia e successivamente a Padova. Da lì Odorico, per adempire al compito affidatogli dal vescovo Giovanni da Montecorvino riprese il cammino per raggiungere la curia papale ad Avignone; l’itinerario prescelto prevedeva un viaggio via terra fino a Pisa, poi via mare fino a Marsiglia e quindi ad Avignone.
Nel maggio del 1330, su richiesta del suo superiore Guidotto, Odorico, ospite del monastero presso la Basilica di Sant’Antonio a Padova, dettò il resoconto del suo viaggio al frate Guglielmo di Solagna.
Morì a Udine nel 1331. È sepolto nella chiesa udinese della Madonna del Carmelo.
Nella Biblioteca Riccardiana a Firenze c’è la sua relazione del viaggio nelle Indie, compiuto nel 1318.
Fu proclamato beato da papa Benedetto XIV il 2 luglio 1755 e attualmente è in corso il processo di canonizzazione.

Venerabile Concetta Bertoli, Terziaria Francescana – 11 marzo

Concetta Bertoli nel ritratto dell pittore friulano Giovanni Di Lena

Concetta Bertoli nel ritratto dell pittore friulano Giovanni Di Lena

Era nata il 14 aprile 1908 a Mereto di Tomba da Giuseppe e Felicita Marcuzzi. Al battesimo, due giorni dopo, riceveva il nome di Concetta Oliva.
Ultima di dieci figli (tre morirono in tenera età) si può affermare che non conobbe la mamma, che morì a 43 anni, quando lei aveva appena 20 mesi.
Una vita di sacrificio e di lavoro nei campi, che però non impediva a Concetta di sognare una vita serena e gioiosa. Dotata di carattere allegro e spensierato, partecipava a tutte le iniziative del paese e della parrocchia.
Ma un brutto giorno (lei aveva solo sedici anni) verso il Natale del 1924 si manifestarono i primi sintomi della malattia che la portarono lentamente e inesorabilmente ad una vita d’immobilità e di totale dipendenza: artrite deformante poliarticolare. Le ore lunghe e interminabili della solitudine erano riempite da sconvolgenti domande: «Perché a me? Perché così presto? Cosa ho fatto di male per soffrire così? Quando finirà?». E sempre c’era una sola risposta, gridata come una giovane gazzella ferita: «Non voglio! Non voglio!».
Il Signore aveva per Concetta un disegno meraviglioso che solo ai suoi intimi osa proporre fino in fondo: salire con lui sulla croce per la salvezza del mondo.

Concetta adolescente

Concetta adolescente

Quella croce, aiutata dalle parole e dalla presenza santa del parroco don Nicodemo Zanin, un po’ alla volta, crescendo in intensità, diventava per incanto sempre più leggera e fonte di amore che realizza e che salva. Un percorso non breve, ma continuo, che condusse Concetta a confessare che non avrebbe voluto cambiare il suo letto con nient’altro al mondo. Dichiarò: «All’inizio è stata dura e non potevo rassegnarmi, ma ora sono contenta. I dolori sono la mia compagnia».
Nel 1930 Concetta, a ventidue anni, era già completamente immobilizzata. Poteva solo girare le pupille degli occhi. La bocca era ermeticamente chiusa.
Alcuni numeri sono più eloquenti di un lungo discorso. Concetta visse 48 anni. Di questi 31 furono di malattia. 26 vissuti totalmente immobile. Cinque, gli ultimi della vita, anche completamente cieca.

Francescana secolare

Chi più ama più dona. E il dono più grande dell’amore è soffrire per la persona che si ama. Questo aveva capito Concetta contemplando il Crocifisso. E in questo scambio d’amore che si dona conobbe la spiritualità francescana del Poverello d’Assisi, fatto uno con il Cristo in croce.
Sempre aiutata dal parroco, ora don Eugenio Peressini che le fu un vero padre spirituale, e dai frati cappuccini di Udine, che venivano ad animare la locale fraternità francescana, chiese di entrare nell’Ordine Francescano Secolare.
Iniziò il suo periodo di formazione il 7 agosto 1940 e dopo un anno di noviziato professò il 7 settembre 1941

Concetta nei primi anni della malattia

Concetta nei primi anni della malattia

Era orgogliosa di sentirsi figlia di Francesco d’Assisi, un padre che portava nel suo corpo i segni della passione di Gesù, i segni dell’amore di Dio per l’umanità.
Nella preghiera quotidiana, propria del francescano secolare, Concetta chiedeva sempre al padre San Francesco di saper godere del suo dolore e sul suo esempio diceva: «Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto». Gli chiedeva pure la grazia di unirsi sempre più intimamente al Cristo Crocifisso per la salvezza e conversione dei peccatori e per il bene dei sacerdoti.
Queste, la conversione dei peccatori e la santità dei sacerdoti, erano le prime e le più grandi intenzioni della sua preghiera e del suo dolore offerto in dono.

Verso gli altari

Chiaramente in un piccolo profilo non si può dire più di tanto. Ricordo solo come Concetta fosse anche un’anima eucaristica e assai devota della Madonna. Ebbe la gioia di essere condotta pellegrina sia a Lourdes come a Loreto. Qui, pur cieca, Concetta riebbe il dono della vista per tutto il tempo che soggiornò nel santuario, contemplando essa stessa la piccola casa di Nazareth.

Consumata in tutto il corpo, presagì l’imminente sua morte. Prima volle festeggiare il venticinquesimo di nozze con la sua malattia. Volle essere vestita da sposa e che le campane suonassero a festa, per dire a tutti la sua gioia. Per l’occasione il parroco celebrò la S. Messa nella sua cameretta. Diceva Concetta ad un sacerdote che cercava di consolarla: «Non so come ringraziare Dio del dono della vita: mi aiuti lei a ringraziarlo. Quante cose grandi possiamo fare noi in questo mondo per il Signore!».

Concetta festeggia il venticinquesimo di nozze con la sua malattia

Concetta festeggia il venticinquesimo di nozze con la sua malattia

Il parroco le conferì il sacramento degli infermi, piangendo come un bambino. La sera dell’ 11 marzo 1956 Concetta entrava nella casa del Padre. Era domenica, giorno del Signore. L’inverno stava per finire e tra poco sarebbe iniziata la primavera.
II suo funerale fu una festa. Ora i suoi poveri resti mortali sono conservati nella chiesa parrocchiale di Mereto di Tomba.
Il suo processo di canonizzazione, iniziato il 13 gennaio 1969. si è concluso il 24 aprile 2001 con il riconoscimento delle virtù vissute in modo eroico.
Chiediamo la grazia del miracolo, perché questa grande figlia del Friuli possa essere additata come consolatrice a tanti ammalati e come stimolo al dono di sé a tanti cristiani e, in particolare, ai figli di Francesco d’Assisi.

Per richiesta di immagini, biografie o per segnalazioni di grazie rivolgersi a:

P. AURELIO BLASOTTI vicepostulatore
Convento Cappuccini
Piazza S. Francesco, 2
34170 GORIZIA
tel. 0481.530354
Email aurelio.blasotti@fraticappuccini.it

Venerabile Egidio Bullesi, Terziario Francescano – 25 aprile

Egidio Bullesi

Egidio Bullesi

Egidio Bullesi, il quale nacque a Pola (diocesi di Parenzo) nell’Istria e che allora apparteneva all’Austria, il 24 agosto 1905; terzo dei nove figli di Francesco e Maria Diritti, frequentò la scuola italiana, fino a quando nel 1914, scoppiata la Prima guerra Mondiale, dovette con la famiglia rifugiarsi a Rovigo in Italia.
Ma dopo la dichiarazione di guerra da parte italiana all’Austria, mentre il padre era rimasto a lavorare a Pola, lui con il resto della famiglia, si dovette trasferire a Szeghedin (Ungheria), Wagna (Stiria) e Graz (Austria).
Di carattere esuberante, impulsivo, istintivo, si sentiva profondamente italiano; per questo la famiglia Bullesi durante tutto il periodo della guerra, trascorse un periodo nero.

Pola, l’Arena simbolo della città

Pola, l’Arena simbolo della città

La famiglia ritornò a Pola, diventata italiana, dopo il 1919 e secondo i biografi ebbe un periodo di rilassatezza nella pratica religiosa. Ma l’adolescente Egidio si riprese ben presto, con l’arrivo dei padri Francescani, che prese a frequentare, prima nel santuario della Madonna di Siana e poi nel centro della loro attività, l’orfanotrofio di S. Antonio.
Intanto a 13 anni prese a lavorare come carpentiere nell’arsenale di Pola, dove nonostante la giovane età, si fece notare per la coraggiosa pratica della sua fede cattolica, specie in quell’ambiente di affermato socialismo, meritandosi comunque l’ammirazione e la stima di tutti.
Seguendo l’esempio della sorella Maria, il 2 luglio 1920 a 15 anni, s’iscrisse nelle file della Gioventù d’Azione Cattolica e il 4 ottobre dello stesso anno, volle diventare anche Terziario Francescano. Nel campo lavorativo passò poi dall’Arsenale al cantiere navale di Scoglio Olivi, sempre a Pola, tenendo ben alti e saldi i suoi principi religiosi e morali; puntuale nei suoi doveri di lavoratore, tenendo testa con garbo ed attenzione a tutte le obiezioni e contrapposizioni in campo religioso.

Egidio in divisa da marinaio

Egidio in divisa da marinaio

Con il suo entusiasmo di giovane istituì a Pola gli esploratori cattolici; aveva 19 anni quando si arruolò nella Marina Militare imbarcandosi sulla nave “Dante Alighieri”, anche qui operò il suo apostolato di giovane cattolico fra i circa mille marinai; diceva sempre: “L’Italia sarà grande solo quando sarà veramente cristiana!”. Dopo tre anni si congedò il 15 marzo 1927.
Nonostante la grande crisi del lavoro che attanagliava l’Italia, fu chiamato, tramite il fratello maggiore Giovanni a lavorare nel cantiere navale di Monfalcone (Gorizia), dove il lavoro non mancava in quel periodo di armamento militare, scaturito con l’avvento del Fascismo.

Monfalcone, Il Cantiere Navale dove Egidio lavorò come disegnatore

Monfalcone, Il Cantiere Navale dove Egidio lavorò come disegnatore

Anche a Monfalcone riprese il suo apostolato fra gli operai e dedicandosi anche alla ‘Conferenza di San Vincenzo’.
Ma la sua splendida testimonianza di giovane cattolico impegnato, era giunta al termine, verso la fine di febbraio 1928 si ammalò gravemente, la malattia fra alti e bassi si protrasse per due mesi, finché si spense a soli 24 anni il 25 aprile 1928.
Rivestito con la tonaca francescana fu seppellito nel cimitero di Pola; la fama della sua santità si diffuse rapidamente fra i marinai, dentro e fuori d’Italia e fra i membri dell’Azione Cattolica.
Per i noti motivi politici, che coinvolsero l’Italia e l’Europa, con il seguito della Seconda Guerra Mondiale e anche con la perdita dell’Istria, assegnata nel 1947 alla Jugoslavia, non si poté aprire la Causa per la sua beatificazione, fino al 6 dicembre 1974, quando finalmente fu aperta dalla Curia di Trieste.

L’isola di Barbana (GO)santuario mariano nella Laguna di Grado retto dai Frati Minori, accoglie le spoglie mortali di Egidio

L’isola di Barbana (GO)santuario mariano nella Laguna di Grado retto dai Frati Minori, accoglie le spoglie mortali di Egidio

La sua salma fu esumata dal cimitero di Pola e traslata definitivamente nell’isola di Barbana (Grado, Gorizia).
Con decreto del 7 luglio 1997, papa Giovanni Paolo II gli ha riconosciuto l’eroicità delle sue virtù e il titolo di venerabile.
“Chi di noi non darebbe sull’istante la vita per salvare un’anima sola?
Chi soffre è missionario e salva non un’anima, ma tante.
Vi è un apostolato dove il Signore vuole l’azione nostra, l’apostolato della formazione dei ragazzi, il quale richiede “tutta-tutta” la nostra buona volontà, tutto il nostro spirito di abnegazione e di sacrificio…”

Per richieste di immagini, biografie o per segnalazioni di grazie rivolgersi a:

P. Marciano Fontana Santuario Madonna di Barbana
34073 Grado(Gorizia) – C.C.P. 11590494
Tel. 0431/80453

Sant’Antonio di Padova – 13 giugno

Sant'Antonio di Padova

Sant’Antonio di Padova

San Bonaventura – 15 luglio

“Ringrazia Dio per la crocifissione e le piaghe del Figlio, e perché Egli ha sostenuto la morte con cui ci ha redento. Ringrazialo perché fu sepolto. Poi, risorto e salito al cielo, ci ha donato lo Spirito Santo e ci ha aperto il regno dei cieli” (San Bonaventura).

Beato Marco d’Aviano – 13 agosto

“E attendevano (i frati) solo a opere di edificazione e di pace” FF 393

Padre Marco d’Aviano nacque a Villotta (Aviano) dalla distinta famiglia Cristofori il 17 novembre 1631, terzo degli undici figli di Pasquale e Rosa Zanoni.
La madre, molto pia, lo predilesse per l’amore verso i poveri, per la sua devozione e anche per un fatto inspiegabile, letto come un presagio. Fu attestato con atto notarile che, quando il bimbo aveva tre anni, la madre lo vide nella culla circonfuso da una luce non proveniente da fonte naturale.
I genitori, che appartenevano alla ricca borghesia, lo iscrissero verso i dodici anni, nel collegio retto dai padri Gesuiti a Gorizia, dove ricevette un’eccellente formazione scolastica e religiosa.
La fantasia del generoso adolescente si accese; aveva sentito raccontare in famiglia come i Turchi avessero distrutto nel 1499 il castello di Aviano e deportato gran parte della popolazione.
Durante una passeggiata si allontanò da Gorizia, desiderando raggiungere l’isola di Creta, dove i veneziani stavano lottando con fierezza e coraggio in difesa dei loro possedimenti, aggrediti dalla Mezzaluna. Arrivato a Capodistria pensava d’imbarcarsi su una nave veneta, ma, stanco e affamato finì per bussare alla porta del convento dei Frati Cappuccini, dove fu rifocillato dal padre superiore e lo aiutò a rientrare in famiglia. L’anno successivo maturò l’idea di farsi frate. Il 21 novembre 1649 emise i voti di povertà, castità ed obbedienza e rispondere degnamente alla particolare chiamata del Signore secondo la regola e gli esempi di S. Francesco.
Il 18 settembre 1655 venne ordinato sacerdote a Chioggia e cinque anni più tardi ricevette la patente di predicare al popolo.
Al provinciale dei Cappuccini del Tirolo scriveva: “Trattandosi della salute delle anime, impiegherò tutto me stesso”. Al conte Della Torre: “Volentieri sacrificherò la mia vita per Dio e per il bene delle anime”. Quando predicava, erompeva in sospiri e lacrime copiose, cosicché, come scrisse un suo ammiratore di Tiene, “pareva dalla sua bocca vibrassero raggi divini”.
Tutte le miserie umane muovevano Padre Marco a compassione. Durante la predicazione quaresimale raccomandava di essere generosi nelle offerte ai poveri e alle ragazze bisognose di dote. A Sermide, nel mantovano, durante una carestia, esortò con tanto calore che “raccolse frumento in abbondanza da poter aiutare tutti i bisognosi, i quali ringraziavano il Signore di avere mandato un tale predicatore”. Lo stesso fece a Fratta Polesine, a Este, a Gorizia e a Salò. A quarantacinque anni la vita di Padre Marco cambiò radicalmente: l’8 settembre 1676 la sua benedizione sanò improvvisamente una suora delle Nobili Dimesse di Padova, paralizzata da tredici anni. Seguirono altre guarigioni prodigiose a Venezia, Chiglia, Adria, Verona. I cappuccini intervennero presso la Santa Sede, contro chi voleva proibirgli di impartire benedizioni.
Padre Marco donava la vista ai ciechi, faceva udire i sordi, ordinava agli storpi di camminare e ai paralitici di alzarsi e scacciava i demoni dai corpi degli ossessi.
Il papa Innocenzo XI lo definì “il taumaturgo del secolo”.
La sua fama si diffuse in Europa e venne richiesta la sua parola, tra il 1680 e 1681, in Alta Italia, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Tirolo, Baviera, Austria e molti stati della Germania.
Sommamente desiderata era la benedizione da lui composta, simile a quella di san Francesco, ricca di citazioni bibliche. Essa diventò un’istituzione al punto che veniva seguita da principi, cardinali, vescovi, dai presenti e da chi si univa alla preghiera a distanza, otteneva i migliori frutti spirituali e spesso anche corporali.
Egli ottenne il privilegio, mai dato prima ad alcun religioso di impartire la benedizione papale ai fedeli con annessa l’indulgenza plenaria nel giorno della comunione generale.
L’arrivo di p. Marco era atteso come quello del papa in persona, e con l’indulgenza plenaria, i suoi viaggi si trasformavano in un giubileo itinerante.
Accorrevano ad ascoltarlo i cattolici, ma anche i protestanti, nonostante la proibizione dei capi. Ad Augusta si rivolse loro con amorevolezza: “Cari fratelli, so che molti di voi desiderano farsi santi; ritornate nella Chiesa Cattolica. Voi non avete colpa per la separazione. Credete, ma con una fede che sia operante con la carità”. Alla fine, senza distinzioni, : “Benedico tutti, le vostre case, lavori e famiglie”. Egli si era infatti accorto che molti protestanti leggevano, studiavano e amavano la Bibbia, più e meglio di tanti laici cattolici.
Invitata a pregare insieme, mettendo in pratica quello che oggi chiamiamo “ecumenismo spirituale”, in attesa di un’unione più completa. In campo diplomatico, si può ricordare che egli incoraggiò l’imperatore Leopoldo d’Austria a stringere un’alleanza con i protestanti, la “Lega di Augusta”, contro le potenze del re Luigi XVI di Francia. La diplomazia romana tendeva ad essere filofrancese, di pensiero quindi contrario, ma lo Spirito Santo ha operato su di lui facendogli vedere più lontano. Propagò intensamente l’atto di dolore, perché gli stavano molto a cuore le persone lontane dal Signore. Padre Cosma da Castelfranco scrive: “Insisteva non solo nei discorsi pubblici, ma anche privati, e concludeva tutte le prediche con l’atto di contrizione. Esortava a rinnovarlo spesso e insegnava che recitare i salmi, rosari, coroncine e altre orazioni vocali è una cosa santa, ma produrre un atto di dolore è più perfetto e vantaggioso, perché con questo la persona penetra le viscere della divina misericordia, la invita a perdonare i peccati e a santificarli con la sua grazia e amicizia”. Nel 1682 p. Marco venne invitato per la seconda volta a Vienna. L’anno seguite il sultano ottomano Maometto IV scriveva da Costantinopoli al sacro romano imperatore d’Austria Leopoldo I e al re di Polonia Giovanni Sobieski: “Io ho in animo di invadere la vostra regione. Condurrò con me tredici re con soldati, cavalleria e fanteria per schiacciare il vostro insignificante paese. Lo distruggerò con il ferro e con il fuoco. Soprattutto ti comando (o imperatore) di attendermi nella tua residenza, perché possa tagliarti la testa.” Egli voleva fare di Vienna la capitale di un secondo impero turco, nel cuore dell’Europa e dopo le minacce seguirono i fatti.
Le avanguardie turche, arrivate sotto Vienna, bruciarono case, palazzi e chiese. Cominciò un assedio che durò due mesi e che fu memorabile. P. Marco fu nominato dal papa Beato Innocenzo XI, legato pontificio, con ampissimi poteri spirituali.
Lasciò il suo convento di Padova e si portò presso l’esercito della coalizione di difesa, promossa dallo stesso pontefice. I soldati erano appena settantamila fra austriaci, polacchi, tedeschi e volontari italiani con Eugenio di Savoia. L’Europa si ritrovò unita per scacciare l’oppressore.
Cominciata la marcia verso la capitale, tutto l’esercito si fermò l’8 settembre, festa della Natività della Madonna, nella pianura di Tulnn per una giornata di preghiera. Il re polacco scrisse alla moglie: “Padre Marco ha celebrato la messa con molta devozione, facendoci ripetere più volte: GEsù! Maria!”.
All’alba del 12 settembre 1682, il beato celebrò la messa; i comandanti cattolici furono assolti e comunicati e i protestanti benedetti. Recitò poi la preghiera: “Signore, ci siamo meritati i Tuoi castighi…lo sai che noi amiamo solo la pace: con Te, tra di noi e con tutti…se è utile, mi offro volentieri come vittima. Stendo le mie mani come Mosè perché tutti conoscano che non c’è Dio potente come Te…donaci la vittoria”.
Egli rimase su un colle ben visibile a tutti pregando. La battaglia fu dura ma l’esercito “europeo” riuscì a sfondare la massa degli ottomani. Il possente esercito turco si ritirò e il mondo cristiano tripudiò. Il Papa Innocenzo XI istituì la Festa del Nome di Maria per la liberazione di Vienna. I re polacco Sobieski, scrisse al pontefice le storiche parole: “Venimus, vidimus et Deus vicit” (siamo venuti, abbiamo visto e Dio ha vinto).
P. Marco si ritirò nella quiete silenziosa del suo convento a Padova. Nel 1699 compì l’ultimo viaggio presso la Corte Imperiale di Leopoldo I. Il 2 agosto si ritirò presso il convento dei cappuccini in Vienna sentendo le forze venir meno. Il 13 agosto spirò serenamente dopo aver ricevuto la visita della famiglia imperiale.
Il 27 aprile 2003, Padre Marco d’Aviano è stato beatificato dal Santo Padre Giovanni Paolo II.

San Ludovico, compatrono dell’Ordine Francescano secolare assieme a S. Elisabetta d’Ungheria – 25 agosto

San Ludovico

San Ludovico

Dio, Padre nostro,

Ti rendiamo grazie per le meraviglie che hai compiuto nel tuo servo San Ludovico.

Egli ha consacrato la sua vita al servizio del Regno sull’esempio di San Francesco d’Assisi. Per questo egli è stato scelto con Santa Elisabetta d’Ungheria come compatrono dell’Ordine Francescano Secolare.
Noi gli chiediamo di stare accanto a ciascuno di noi e di tutta la Famiglia Francescana.

San Ludovico,

Tu, che hai considerato il tuo battesimo come il più grande dono ricevuto, ravviva in noi la grazia del nostro Battesimo e della nostra Professione nell’OFS.

Tu, che hai meditato ogni giorno la Parola di Dio, aiutaci a vivere il Vangelo, a conformare la nostra vita a Gesù povero e crocifisso, a offrire la nostra vita per amore dei nostri fratelli.

Tu, che hai capito nella tua gioventù l’orrore del peccato, aiuta i giovani della GiFra a crescere nella rettitudine del cuore e nella fedeltà al proprio Battesimo.

Tu, che fosti sposo e padre amoroso, aiuta le nostre famiglie ad essere fermento d’unità e di pace per il nostro mondo.

Tu, che hai servito i poveri e cercasti la giustizia e la pace, apri il nostro cuore alle estreme necessità di tanti nostri fratelli in difficoltà e ottienici l’audacia d’impegnarci con coraggio a favore del “Si” alla vita e alla famiglia.

Tu, che hai coraggiosamente testimoniato la tua fede in Cristo Signore in terra straniera, guidaci nello slancio generoso per la nuova evangelizzazione.

Signore,

sull’esempio e per l’intercessione di San Ludovico, concedici di prendere ogni nostra decisione passando dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo, tenendo lo sguardo fisso alla la vita del cielo.

Amen!

Festa delle Stimmate di San Francesco – 17 settembre

Il Papa ha lanciato ieri un nuovo tweet: “Cercare la propria felicità nell’avere cose materiali – scrive – è un modo sicuro per non essere felici”. Di questo è sicuramente un esperto il nostro San Francesco, il quale volle essere in tutto e per tutto conforme a Cristo. Buon cammino, fratelli e sorelle, di sempre maggior conformazione a Gesù!

San Pio da Pietralcina – 23 settembre

“Esiste una scorciatoia per il Paradiso?”, gli fu domandato una volta.
“Sì”, lui rispose, “è la Madonna”. “Essa – diceva il frate di Pietrelcina – è il mare attraverso cui si raggiungono i lidi degli splendori eterni”. Esortava sempre i suoi figli spirituali a pregare il Rosario e a imitare la Madonna nelle sue virtù quotidiane quali l’umiltà,la pazienza, il silenzio,la purezza,la carità.
“Vorrei avere una voce così forte – diceva – per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna”. (tratto dalla newseltter di L’Oasi di Engaddi)

Sant’Elisabetta d’Ungheria, Terziaria Francescana e compatrona dell’Ordine Francescano secolare assieme a S. Ludovico – 17 novembre

Gemona, Elisabetta d'Ungheria

Gemona, Elisabetta d’Ungheria