Via Crucis Transfrontaliera da Gorizia al Santuario della Kostanjevica (26/03/2023)

Via Crucis francescana transfrontaliera «Artigiani di pace», di Silvia Scialandrone
«Via Crucis… un modo per ricordarci della fragilità umana», di Igor Gaetano Batič
Le foto dell’incontro
La locandina

Via Crucis francescana transfrontaliera «Artigiani di pace»

Domenica 26 marzo 2023

“Quando i francescani si riuniscono, se non v’è un tetto sopra di loro, il buon Dio fa splendere il sole.” disse, una volta, un frate sloveno. IlMeteo.it non l’ha mai conosciuto, dunque, non poteva sapere che, contro ogni previsione, domenica 26 marzo non avrebbe piovuto, non prima che la seconda Via Crucis francescana transfrontaliera si concludesse nel Monastero della Castagnevizza. La Via Crucis che ha avuto inizio sul piazzale antistante la Chiesa dei Cappuccini sotto un sole ottenebrato dalle nuvole, è stata composta da don Jože Plut, canonico della cattedrale e cappellano militare delle Forze Armate Slovene. I francescani italiani e sloveni hanno percorso le strade di Gorizia e Nova Gorica, ascoltando ora in una lingua, ora nell’altra, le riflessioni che don Jože ha scritto mentre nei suoi occhi scorrevano lontane immagini sporche di sangue nella guerra tra Ucraina e Russia, impolverate sotto le macerie dei terremoti in Turchia e in Siria, strappate dalla violenza delle persecuzioni in Nigeria e in Nicaragua. Lo sguardo dei francescani e di un centinaio di fedeli che hanno meditato insieme a loro si è fermato sui luoghi di questa terra, più vicini ma non per questo più conosciuti: la Mensa dei poveri che ogni giorno aspettano di varcare la porta del Convento, affamati di pane e di relazioni; la Casa Circondariale con le sbarre alle finestre, oltre le quali i detenuti cercano di intravedere la luce e il futuro; il Monastero Totus Tuus in cui cinque sorelle clarisse hanno scelto di seguire il Signore vivendo in clausura; Piazza Grande – ora Piazza Vittoria – dove il 26 marzo del 1713 scoppiò la rivolta dei Tolminotti e, tra il 20 e il 23 aprile 1714, i corpi di 11 di loro condannati e giustiziati per decapitazione, furono squartati ed esposti sulle vie d’accesso alla città; la Galleria Bombi dove qualche anno fa cercarono rifugio, nelle fredde notti invernali, centinaia di migranti giunti seguendo la rotta balcanica; le rotaie del Valico del Rafut che si possono attraversare per raggiungere la terra oltre il confine che non c’è più; le celle destinate ai religiosi della Kostanjevica trasformate dal regima fascista in celle di internamento per donne detenute politiche durante la Seconda Guerra mondiale; la comunità Incontro nell’ala destra del Convento dove alcuni ragazzi sono in terapia per assuefarsi alla vita e non alla droga; la galleria sotto il Monastero dove durante la Prima guerra mondiale, il 9 agosto 1916, venne fucilato il frate francescano Aleksander Vavpotič, professore di ginnasio, di canto e di musica sacra al seminario di Gorizia nonché organista, fine predicatore e sensibile confessore; la ricca Biblioteca del Monastero intestata a padre Stanislav Škrabec, il più noto linguista-slavista sloveno, che ha vissuto a Kostanjevica per 42 anni; il settimanale cattolico Družina – La Famiglia – nato nel 1952, che si distinse per essere voce critica non solo del regime ma anche dell’immobilismo della sua Conferenza Episcopale. Sosta con commozione, quel centinaio di persone, davanti ad ogni stazione: la luce dorata dei mosaici di Marko Rupnik, incontrando le lacrime che si raccolgono negli occhi di quei fratelli e quelle sorelle, sembra formare un arcobaleno di pace.

Nello spiazzo brullo e fangoso di quello che era un edificio scolastico, fagocitata ormai dalla vegetazione ed abbandonato all’incuria, don Paolo Zuttion, cappellano del carcere maschile di Gorizia, accoglie i fedeli che desiderano portare la speranza e la preghiera a quei figli prodighi che cercano rifugio nell’abbraccio misericordioso del Padre. Come i detenuti si svestono dell’uomo vecchio per rivestire il nuovo e per una piena conoscenza ad immagine di Cristo morto per i peccati di tutti, così si rinnoverà l’ex scuola elementare “Pitteri” per essere trasformata in Cittadella della Giustizia.

In una piazza Sant’Antonio sonnacchiosa la domenica pomeriggio, basta spingere il pesante portone di legno della Cappella del Monastero per entrare in un mondo meno secolare e più intimo: v’è un silenzio pregno della voce di Dio, quasi irreale all’orecchio. E quel manipolo di cittadini, in comunione spirituale con le suore clarisse, osa rompere la quiete di quel posto solo con il suono della musica e la melodia dei canti intonati. Entra nel buio della Galleria Bombi per uscire alla luce e salire il colle fiancheggiando la pista ciclabile, in parte già realizzata lungo il confine tra le due città nominate Capitale Europea della Cultura 2025, il serpentone guidato dall’Arcivescovo di Gorizia.

E, giunti alla fine della seconda Via Crucis francescana transfrontaliera, l’Arcivescovo racconta alle due fraternità OFS e FSR di Gorizia e Kapela e ai fedeli che si sono uniti lungo la via e anche sulla cima della Kostanjevica, che proprio la mattina di quella quinta domenica di Quaresima, s’è recato ad Aquileia per benedire, nella Basilica, un mosaico con la croce dell’antica città romana, sotto i cui bracci sono indicate le parole Alfa (A) e Omega (W) la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, il principio e la fine della vita. Nessuno può togliere la croce ad un altro, a ciascuno è chiesto di essere sia Gesù, sia Simone di Cirene ma il giogo è dolce e il peso è leggero se portato con amore perché è l’Amore il senso della Vita. Il Cardinale predicatore, padre Raniero Cantalamessa, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, in una recente omelia alla Curia, ha detto che Dio si sarebbe incarnato anche se l’uomo non avesse peccato. Dio s’è fatto Uomo perché ha bisogno di relazione proprio come l’uomo. E su questi francescani che da quasi vent’anni fanno i muratori costruendo ponti di pace, il Signore s’è fatto colonna di nube nell’ultimo pomeriggio domenicale di marzo. È tempo di riporre le 14 croci lignee in Fraternità, come Pietro, invitato da Gesù, rimise la spada nel fodero; è tempo di essere artigiani di pace e non rispondere alla violenza con la stessa arma; è tempo che la pioggia scenda a bagnare la terra, ora che tutti sono tornati alle proprie case, per irrigarla, fecondarla e farla germogliare.

La formula dell’acqua diventa così la più cristallina lezione sulle relazioni: esse danno vita, sono generative e rigenerative, solo quando uno dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno, altrimenti sono degenerative. (Alessandro D’Avenia)

Silvia Scialandrone, Fraternità di Gorizia

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«Via Crucis… un modo per ricordarci della fragilità umana»

E abbiamo tanto da ricordare. Ogni anno nel periodo pasquale facciamo memoria di ciò che molto probabilmente è accaduto e ci ricordiamo che con modalità diverse avviene sicuramente ogni giorno. Però è vero anche che ogni giorno, oltre al rumore di un albero che cade, c’è una foresta che lentamente cresce. Mi domando: possibile che non impariamo mai? Sì, possibile. Perché dobbiamo sempre fare i conti con la nostra natura, con la nostra fragilità, la nostra paura, il nostro desiderio di infinito che immancabilmente si scontra con i nostri limiti, il desiderio di avere in mano la bilancia della vita e cercare di pesare ogni cosa, e se i pesi non sono quelli che vorremmo, spostiamo l’ago a nostro piacimento, illudendoci che questo ci sia concesso e senza conseguenze. E poi il desiderio di perfezione, a volte ricercata, a volte sbandierata e spesso miseramente mancata. Tutto questo nell’animo umano. E poi il desiderio di sicurezza, di dominare il tempo, ma neanche questo ci è concesso, la nostra precarietà non ci abbandona. È vero, tutto ciò fa parte dell’animo umano. È quell’albero che noi stessi abbattiamo, quella violenza che commettiamo verso noi stessi. Per fortuna qualcuno sopra di noi che ci conosce nel profondo, come neanche noi stessi ci conosciamo, continua a far piovere e quell’albero abbattuto può lentamente diventare concime e far crescere ancora la foresta. Lentamente in silenzio.

Un attimo e… una linea viene tracciata su una mappa, una scelta sbagliata viene presa, un diritto è negato, una Casa viene distrutta, e l’albero cade di nuovo. Un tonfo e poi di nuovo il silenzio. Poi piove, magari non subito, e molte piante riprendono a crescere facendo i conti con lo spazio libero lasciato dalla pianta caduta. E lentamente in silenzio e con fatica cercano di riempire quel vuoto. Al posto dell’albero caduto inizia a crescerne un altro, diverso dal precedente. Oggi non ha piovuto fisicamente, ma il buon Dio ha innaffiato il suo giardino. La piantina che negli anni ha iniziato lentamente a germogliare l’anno scorso, ha fatto spuntare un nuovo ramoscello che quest’anno si è un po’ ingrossato. Magari non molto, ma un po’ si. Un insieme abbastanza numeroso di persone, su proposta di un gruppo di francescani, ha deciso di mettersi in cammino per celebrare e ricordare la via Crucis con le attualizzazioni di don Jože Plut. Partendo dal convento dei Frati Cappuccini di Gorizia, ha ripercorso alcune via della città per soffermarsi su punti particolarmente segnati dalla sofferenza, per poi salire lentamente al Santuario della Kostanjevica. Un piccolo segno per ricordare ciò che non dovrebbe essere dimenticato: la mensa dei poveri, il carcere, la galleria Bombi, la lapide che ricorda i Tolminotti, il confine, la Kostanjevica. Luoghi che – sembrerà strano – non sono luoghi dove gli uomini forti hanno e danno il meglio di sé, ma luoghi che ci ricordano le nostre sconfitte. Errori, mancanze, egoismi, paure. Le fragilità dell’uomo che, immancabilmente, ci si ripresentano e ci turbano il sonno. Fedeli italiani e sloveni procedono un po’ silenziosi un po’ oranti per le vie, si fermano sotto le finestre del carcere dove qualcuno grida un “Grazie” ed è un po’ la sintesi di questa giornata, oltre al fatto che la croce passa da una mano slovena ad una italiana e viceversa, senza differenza e diffidenza. Certo possiamo e dobbiamo fare ancora tanto, ma forse un piccolo mattoncino per la pace anche oggi è stato posto. Dopo esser saliti sulla collina del Santuario che domina le città e aver celebrato anche l’ultima stazione, una preghiera comune e un saluto da parte del Vescovo e delle Ministre delle due  Fraternità, con traduzione bilingue, lentamente e a piccoli gruppi, si torna verso casa, con la consapevolezza che la strada è faticosa, ma necessaria. E proprio a pochi metri dall’uscio inizia a piovere, delicatamente. La pioggia tanto attesa è arrivata, piano piano la foresta riprende a crescere.

Igor Gaetano Batič

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Fraternità Regionale del Friuli-Venezia Giulia “Beato Odorico da Pordenone” 2023 – © RIPRODUZIONE RISERVATA