XVII Incontro davanti al presepe 07/01/2024

Nel pomeriggio di domenica 7 gennaio 2024 le due Fraternità di Gorizia e Kostanjevica Nova Gorica si sono incontrate al Valico del Rafut per andare insieme davanti al presepe della chiesa di Santa Maria Assunta dei frati Cappuccini, facendo tappa al Monastero “Totus Tuus” delle sorelle Clarisse in piazza Sant’Antonio.

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«Pellegrini dentro! – Lettera alle Fraternità della Regione», di Luciano e Francesca, OFS Gorizia
«Pace in terra agli uomini che egli ama, da Oriente ad Occidente», di Silvia, OFS Gorizia

«Pellegrini dentro! – Lettera alle Fraternità della Regione», di Luciano e Francesca, OFS Gorizia

Carissimi,

è un po’ che non ci sentiamo, e con queste poche righe vorrei mettervi al corrente degli avvenimenti di questi giorni. Domenica scorsa, come Fraternità, abbiamo partecipato all’Incontro fraterno davanti al presepe. Come tutti sapete, ormai da 17 anni le Fraternità di Gorizia e Nova Gorica si alternano nell’ospitare questo momento di ritrovo e di preghiera. Quest’anno la Fraternità ospitante era Gorizia. Da diversi giorni, sotto la guida instancabile di Raffaella e di Roberto, ci siamo prodigati affinché le cose si svolgessero nel migliore dei modi, e così è stato. Ogniuno ha dato il meglio di sé nel compito che gli era stato affidato. Nei giorni precedenti c’era tutto un fermento per preparare al meglio ogni singolo dettaglio. Possiamo dire che questo è sicuramente un momento in cui la Fraternità si ritrova per lavorare assieme. Riprendendo l’esperienza dell’anno precedente, abbiamo pensato di animare e colorare questo momento di preghiera con la presenza di alcuni figuranti. Abbiamo ricordato l’incontro del Santo con il Sultano, quest’ultimo con i suoi abiti sgargianti e sfarzosi e rigorosamente fatti in casa, e il primo presepe voluto da san Francesco a Greccio.

Durante la preparazione, per un istante, mi era sorto il dubbio che questa rappresentazione potesse sviare la forza del momento verso qualcosa di più allegorico. L’inizio del nostro incontro itinerante è stato al valico del Rafut a Gorizia con la rappresentazione di quello avvenuto in Terra Santa tra Francesco e il Sultano. Ma, come spesso capita, un particolare o un incontro inatteso mischia le carte e fa assumere alle cose un aspetto del tutto nuovo. Così, mentre, come figuranti, aspettavamo di iniziare questo incontro, un breve scambio di battute con il custode del museo mi ha di colpo acceso una luce nuova su questo evento e sul suo significato. Il dialogo verteva sul fatto che i pellegrini, in questo caso moderni sul Camino de Santiago, godono del grande rispetto e ammirazione dalle popolazioni locali che li vedono transitare, animati da uno spirito diverso dai soliti turisti affamati di luoghi da visitare e di esperienze da raccontare una volta rientrati a casa. Forse per i pellegrini si percepisce qualcosa di diverso, forse una fede o la necessità di guardarsi dentro, tanto da lasciare le proprie comode case e mettersi in cammino con lo spirito di chi affronta un lungo viaggio, spinti dal desiderio di raggiungere una meta fisica o mentale che sia. Questo pensiero mi ha accompagnato per tutto il tragitto e mi ha fatto pensare a come poteva essere visto san Francesco dal Sultano. Un pellegrino che non si è presentato con la spada per prendere, ma con l’animo aperto di chi probabilmente cercava un luogo dove poter piangere per un caro scomparso, senza la pretesa di imporre niente, anzi ringraziando di ciò che la vita avrebbe offerto. È questa la grande forza, moltiplicata dalla grande fede, che ha fatto il miracolo di un incontro apparentemente così improbabile. Eppure le vie del Signore sono infinite. Dopo questo incontro inaspettato, tutto il cammino fatto per arrivare fino davanti al presepe si colora di una luce nuova. Un pellegrinaggio dal valico del Rafut, luogo simbolo della divisione di un popolo, alla galleria Bombi che è stata capanna per i migranti in transito, a piazza della Vittoria, luogo dove i contadini hanno sacrificato la vita per i pochi diritti, a via Rastello, al Monastero delle Clarisse dove la preghiera è il pilastro centrale della vita di queste donne e il senso di pace pervade l’anima, a sfiorare il carcere, luogo dove ogni società civile misura i suoi fallimenti, fino ad arrivare nella chiesa di Santa Maria Assunta, davanti al Gesù Bambino. Questo Gesù, che non è più una statuina di gesso, ma è un luogo dell’anima illuminato dalla presenza di Gesù stesso. Lo stesso luogo verso cui ogni pellegrino dirige i suoi passi. Difficile spiegare ciò che questo breve cammino ha offerto, perché ogniuno costudisce nel suo cuore qualcosa di diverso e intimo. Ma tutti noi che abbiamo raggiunto il presepe, rappresentazione del fatto che non siamo più soli, abbiamo potuto ascoltare la testimonianza di chi ora vive nei luoghi dove quel Bambino è nato. E ci si rende subito conto che non c’è stato luogo più adatto per nascere, perché sono i malati che hanno bisogno del medico. Dopo questa testimonianza, che ha offerto un punto di vista diverso da chi fa proclami ai microfoni dei media, la santa messa ci ha condotto ad un’ulteriore passo in avanti. C’è molto da fare! Ma come si dice in questi casi, ogni grande viaggio inizia da un piccolo passo.

Carissimi, il cammino è lungo, tortuoso e faticoso. Chissà se mai vedremo la meta di questo peregrinare. Non lo sapremo mai, ma non dobbiamo mai smettere di camminare anche quando la via diventa più dura.

Grazie a tutti ragazzi!

Spero di abbracciarvi presto e poter scorgere nei vostri occhi la speranza di questo cammino che la vita in questo momento ci offre!

Con affetto vostri affezionatissimi

Lcn con Frn, OFS Gorizia

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«Pace in terra agli uomini che egli ama, da Oriente ad Occidente», di Silvia, OFS Gorizia

Sabato 7 gennaio 2023

Come si fa ad amare? Attraversando i confini.
Tutti i confini, a cominciare da quelli che abbiamo nel cuore e nella testa.
(monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli)

Al valico del Rafut, il giorno dopo l’Epifania, ci sono scarpe che una settimana prima hanno percorso strade e piazze di Gorizia e Nova Gorica per la 56° Marcia per la Pace promossa da Pax Christi, dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, dall’Azione Cattolica Italiana, dalla Caritas Italiana, dal Movimento dei Focolari e, in particolare, con il contributo concreto dall’Arcidiocesi di Gorizia-Goriška Nadškofija. Scarpe ancora bagnate dalla pioggia che, a tratti, è scesa nell’ultima notte dell’anno appena passato. Scarpe indossate da francescani secolari delle fraternità di Gorizia e Kostanjevica che si sono incontrati su quella linea di confine tra due città che, nel 2025, saranno un’unica Capitale europea della cultura.

È la prima domenica dopo l’Epifania e sono trascorsi tre mesi da quando all’attacco di Hamas, Israele ha risposto con un’operazione militare contro Gaza: è di nuovo guerra.

Il 7 gennaio 2024, su quel valico che, come tutta la linea di confine, è una ferita nella storia della città e nella vita di migliaia di persone, insieme ai francescani si sono riuniti l’arcivescovo di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli e don Bogdan Vidmar, delegato dal vescovo di Koper, Jurij Bizjak, i frati e i fedeli italiani e sloveni per il tradizionale Incontro fraterno davanti al Presepe giunto alla 17° edizione.

A quasi 20 anni dalla caduta del muro, era il 28 aprile 2004, il sogno di chi vive in questa terra è che tutti i muri vengano abbattuti e sostituiti da ponti, in particolare quello tra Gerusalemme e Betlemme su cui un autore di street art ha riprodotto la Natività, affresco del Maestro da Narni nella Chiesa di San Luca a Greccio.

Frate Francesco credeva che il dialogo fosse l’unica via per costruire una pace duratura e presupposto per una fraternità universale e, con il suo compagno, frate Illuminato, durante la Quinta Crociata riuscì ad arrivare in Medio Oriente. L’incontro tra l’assisiate e quel suo straniero amico, avvenuto nel giugno 2019 a Damietta, ricorda quanto sia sterile l’uso della violenza e fragile la pace ottenuta con la sconfitta del nemico. E, mentre Gianmarco ne fa memoria, Paolo, in vesti sontuose, e Luciano, nel suo saio rattoppato, rendono vivo quello storico colloquio che dimostra che solo incontro e dialogo portano frutto e pace a lungo termine sotto gli occhi increduli di Marco, nella sua tonaca marrone, e quelli stupiti delle persone che assistono alla rappresentazione.

Allora quel sogno di confine comincia a diventare speranza certa come le voci sicure di Gianmarco e Kristina che, lungo le strade ed attraverso le piazze, intonano canti a cui tutti si uniscono con la gioia di chi si sente già esaudito nella preghiera per la pace.

Distruggeranno, un giorno, anche quella barriera di separazione e lì, dove Dio ha voluto nascere, torneranno pellegrini, re e regine ad adorare il Bambino come i Magi.

Fra Luigi, assistente della fraternità di Gorizia, guida i fedeli italiani e sloveni fino al Monastero in piazza sant’Antonio pregando, cantando e facendo silenzio; in certi momenti solo la pioggia, che è iniziata a scendere leggera, sembra far rumore.

Giunti al cancello che separa solo fisicamente il mondo secolare da quello claustrale, Mario rievoca il ritorno di Francesco dal viaggio in Terra Santa: al suo arrivo in Italia, deluso per una guerra a cui i crociati non vollero rinunciare ma commosso per aver potuto visitare i luoghi in cui visse Gesù, confidò a Giovanni Vellita, suo grande amico, il desiderio di preparare proprio nella grotta a Greccio in cui trovò rifugio, il fieno, un bue ed un asino per la notte di Natale. La pietra per la Messa c’era, bastava quella sulla quale Fran­cesco aveva riposato. Negli occhi di Luciano, con il suo saio rattoppato, e in quelli di fra Tomaz si scorge l’ardore che spinse il Santo a celebrare il primo Presepe vivente della storia. Negli occhi di Daniele, nei panni signorili del Vellita, padrone del monte, e in quelli di Mosè, si ravvisano stupefazione ed esaudimento.

Ognuno dei presenti si sente come uno dei suoi tre compagni, Leone, Rufino ed Angelo che, insieme al Poverello, salirono al romitorio sopra al dirupo il 24 dicembre 2023 mentre, entrando nella Cappella del Monastero, trova la greppia, la paglia e il Bambino.

Non ci sono parole quando il cuore è in estasi: allora le sorelle clarisse che, fin dall’inizio dell’Incontro sono state presenti spiritualmente, riempiono quel luogo con un soave canto e, nell’uscire, sembra di tornare alla realtà dopo aver vissuto una favola.

Ma non è stato un sogno: prova ne è un cuore di legno su cui è incisa la parola “Pace” che ogni fratello ed ogni sorella si trova tra le mani insieme ad una candela accesa. Come 800 e un anno fa, mentre la sera scende su Gorizia che per un momento è stata una piccola Betlemme, un torrente di luci, preghiere e canti raggiunge la Chiesa dei Cappuccini avvolta nella penombra, nella quiete ed inondata, all’arrivo dei pellegrini, dai cori Go&Sing – Voci in circolo di Gorizia e Otroski pevski zbor župnije di Nova Gorica.

Fra Francesco Ielpo, delegato del Custode di Terra Santa in Italia, ha registrato una testimonianza che Roberto fa ascoltare prima dell’inizio della celebrazione eucaristica e che Kristina traduce nella sua lingua madre.

In questo clima di grande tensione i francescani hanno voluto tornare all’origine vera ed autentica di ogni speranza: con la nascita di Gesù in quella grotta di Betlemme, il divino è entrato nella storia. Anche in questa storia ed in questo tempo non siamo soli.

La situazione dei luoghi in cui è nato e vissuto il Principe della Pace è la situazione del cuore di ogni uomo: come scrisse san Paolo, il nostro cuore anela al bene ma compie il male che non vuole. Noi siamo chiamati, quindi, a non giudicare ma a ripartire dal punto più basso in cui Gesù è sceso, per ricevere il battesimo da Giovanni Battista, il fiume Giordano, insieme a tutti i peccatori che cercavano conversione. Da lì Cristo ha voluto innalzarci e riportarci alla dignità che abbiamo veramente: siamo figli e figlie di Re, creature del Creatore.  Se quello che stiamo vivendo sembra il punto più basso nella storia dell’umanità, qui scenderà Dio se troverà cuori in cui ri-nascere. Prima di salutarci con la pace che ci dona il Signore, fra Francesco Ielpo ringrazia le comunità, quella italiana e quella slovena, per questo Incontro che si ripete ogni anno davanti al Presepe: gesto profetico che dona speranza ai francescani e cristiani di Terra Santa.

Quando inizia la Santa Messa celebrata dal Vescovo Carlo insieme a don Bogdan, fra Marco e fra Tomaz, negli occhi lucidi di tutti i fedeli brilla la fiamma delle candele.

Nella festa del Battesimo di Gesù, il Vescovo Carlo invita a trovare l’acqua nella Parola di Dio. Usando l’immagine della pioggia che in questa domenica, come già nella notte di Capodanno, ha bagnato questa terra di confine, così la Parola disseta i cercatori di Vita. Attingiamo con gioia, dunque, alle sorgenti della salvezza! Contempliamo il nostro Battesimo in acqua e Spirito Santo che ci ha resi figli unici, preferiti ed amati.

E ripensiamo a Francesco che, usando il bastoncino della preghiera e non quello del rabdomante, fece scaturire dal monte una fonte a cui si abbeverò il contadino assetato che accompagnò il santo, dopo averlo caricato su un asino, a La Verna.

E ai francescani italiani e sloveni, l’Arcivescovo lancia una provocazione: quello di essere rabdomanti della pace: pace da cercare nella vita di ogni giorno, nelle famiglie, nelle comunità, nelle nazioni e, con il cuore, in tutto il mondo.

Ma, prima di calzare nuovamente le scarpe, è il momento di andare in disparte, nel salone, e ristorarsi con quell’acqua d’occidente che unita alle spezie d’oriente diventa un the caldo che tutti prendono insieme ad una soffice fetta del dolce delle Feste. 

Dopo l’agape, momento di abbracci e sorrisi, ci si rimette in cammino, ognuno con le sue scarpe e si fa ritorno alle proprie case per portare, a chi sta aspettando dietro la porta i doni ricevuti e quelli da seminare come i ciliegi seminati quasi un anno prima.

Allora, come insegna l’Odissea, capiamo alla fine di questo viaggio che non possiamo salvarci da soli. Ciascuno combatte una guerra non sua contro qualcuno o contro qualcosa per esistere. Ma c’è una pace possibile per tutti coloro che cercano Dio.

Siate rabdomanti di pace con le stesse caratteristiche che Francesco attribuisce all’acqua: con umiltà, con limpidezza, con l’impegno a essere utili e con la preziosità di essere un piccolo ma importante segno di speranza per tutti.
(monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli)

Silvia Scialandrone, OFS Gorizia

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