Gorizia. Festa in casa OFS per le ammissioni di Paolo, Sara e Barbara (17/11/2021)

Ammissioni Gorizia (17/11/2021)

Le foto!

C’è stato un tempo in cui il Mondo s’è fermato per prendersi cura di noi.

C’è stato il tempo, poi, per ri-trovarci e re-imparare a prenderci cura del Mondo.

E mentre, smarriti e titubanti, cercavamo di immaginare il francescano ideale che sa prendersi cura di sé, del prossimo, della società, del creato, proprio san Francesco ci ha ricordato che un buon fratello è la somma di tutti i fratelli e di tutte le sorelle.

Un francescano rimarrebbe un ideale senza l’imperfetta fragilità di uomini e donne che, fedeli alla propria originalità e rispondendo fiduciosi a quel “Seguimi!” che il Signore rivolge a loro, non ad altri, ri-nascono per ri-diventare ciò che sono.

Come Gesù, anche Francesco ha saputo vedere la bellezza nel primato della persona.

Fra Luigi, assistente della Fraternità OFS di Gorizia, celebra il suo primo rito di ammissione al noviziato; a Paolo, Sara e Barbara sull’altare insieme a lui e a Raffaella e Ado, formatori nel tempo dell’iniziazione, parla con le parole di Francesco e Gesù.

E invita tutti i fratelli e le sorelle delle Fraternità di Gorizia e Gradisca a tornare, con la mente, al tempo in cui, con il cuore, ci si è sentiti rivolgere un monito: “Seguimi!”.

La vocazione è un’avventura piena di grandezza ma anche di miseria. È la vita!

E solo la nostra vita ferita fa di noi testimoni unici, autentici e, perciò, credibili.

Dio, prima del tempo, anche quello più favorevole, il kairos, ci ha pensati, amati, scelti. E dopo averci predestinato, ci ha chiamati, giustificati, glorificati.

Ecco cos’è la conversione: accorgerci di ciò che sta accadendo, mentre il Signore cammina nel nostro tempo, aprirci alla buona notizia, all’annuncio di felicità che ci viene incontro e scoprire che la nostra storia umana può diventare narrazione divina.

È l’inizio di un tempo nuovo in cui è possibile far regnare Dio nella vita degli uomini; affinché questo avvenga occorre convertirsi, ritornare a Lui, e poi credere alla buona notizia che è la presenza e la parola di Gesù stesso.

La libertà umana è limite persino per Dio.

L’Onnipotente ha bisogno del nostro “Sì”.

Sara e Barbara, nel giorno di Santa Elisabetta Patrona dell’Ordine Francescano, offrono le rose in ricordo del miracolo avvenuto nel villaggio di Eisenach sotto il Castello di Wartburg nel tredicesimo secolo; Paolo dona il pane a forma di TAU allo stesso Dio che la moglie di Ludovico IV di Turingia riconobbe nei poveri del suo tempo.

Quando Dio parla ed il cuore ascolta la vita cambia aspetto; come il pane, che la principessa ungherese nascondeva nel mantello, si trasformò in rose, quando incontrando il suo sposo lungo la strada, fu da lui interrogata su cosa stesse portando.

Aprendo il suo grembiule, spalancò il cuore del marito a Cristo.

La gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.

(Dante – Paradiso, Canto I)

Il più e il meno non indica solo l’oggettiva scala di perfezione dell’essere delle creature, ma anche la loro risposta soggettiva. Quella immediata di Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni è solo una stilizzazione; eppure nella vita di ognuno di noi c’è un tempo in cui qualcosa, semplicemente, accade. Paolo, Sara e Barbara, come quei ragazzi sul mare di Galilea, stavano vivendo la loro vita tra le mura di un ufficio, di una scuola, di un ospedale fino a quando un giorno il Signore entrò. O, forse, si scontrarono con il Maestro mentre, uscendo dal lavoro, si apprestavano a tornare a casa. O, chissà, trovarono Dio dopo averlo a lungo cercato sulle strade che percorrevano da sempre.

Ognuno ha una storia da raccontare e un momento a partire da cui non è più solo sua.

Prima ancora che la sera scendesse su quel mercoledì 17 novembre, prima ancora che le luci si accendessero sull’altare della Chiesa dei Cappuccini, prima ancora che un piccolo Tau di legno e la Regola dell’Ordine Francescano venissero loro consegnati, Paolo, Sara e Barbara avevano scelto di trasformare il loro destino in destinazione seguendo Gesù, di scoprire quale missione v’è dietro la loro vocazione francescana e di realizzarla in fraternità. Con le mascherine, ma senza maschere. Insieme, non da soli.

La fraternità è il dono ricevuto dove ci si scopre dono restituito.

La fraternità è il luogo dove la perfezione si incarna collettivamente.

La fraternità è il punto di partenza e di arrivo, da essa usciamo per, sempre, tornare.

Il buon francescano ha l’ardore di Carlotta e la pacatezza di Daniele, l’accuratezza di Raffaella e la giovialità di Roberto, l’esuberanza di Valnea e la mitezza di Mario, la ponderatezza di Giulia e l’autorevolezza di Vincenzo, l’alacrità di Luciana e l’altruismo di Paolo, la morigeratezza di Lina e la libertà di Anna, la ricercatezza di Gledis e l’umiltà di Dorina, l’estrosità di Vittoria e la posatezza di Carlo, l’indulgenza di Gianmarco e l’intransigenza di Liviero, la fedeltà di Ado e la mitezza di Luigi, la disponibilità di Daniela e la liberalità di Livia, l’essenzialità di Luciano e la sensibilità di Francesca, il garbo di Salvo e la riservatezza di Alessandra, l’indomabilità di Rina e la riverenza di Luca, la semplicità di Laura e l’arguzia di Rosanna, la dolcezza di Mauro e la creatività di Monica, la gentilezza di Graziella e l’affabilità di Sandro.1

Il francescano è diventato un po’ meno ideale e un po’ più reale con la generosità di Paolo e l’intraprendenza di Sara, la fermezza di Barbara e la minorità di fra Luigi.

Il francescano è ancora e sempre perfettibile.

Questa è la normalità a cui voglio tornare, quella fatta da uomini e donne che continuano a edificare l’umano e moltiplicano la vita attorno a loro là dove vivono: con il loro lavoro ben fatto — «la norma di sicurezza» a cui si attengono è la fedeltà alla loro chiamata — uniscono le forze di molti e le mettono al servizio di tutti.
(Alessandro D’Avenia)

Silvia, Fraternità di Gorizia

Nota 1 a cura della Fraternità di Gorizia: l’entusiasmo di Silvia.

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