Limitless – Autunno francescano 2025
Nell’ambito dell’Autunno francescano, Triduo francescano 2025 a Gorizia, di Paolo Tavano (Fraternità di Gorizia)
Il silenzio è d’oro. Non un silenzio sterile, ma uno denso di senso, pace, Vita, sensi primi e ultimi. In quest’atmosfera mi sono immerso dopo aver ascoltato – anzi centellinato – le perle offerteci da don Luigi Maria Epicoco, Paolo Curtaz e dal nostro Vescovo in questa prima parte dell’Ottobre Francescano.
Certe volte mi dico che vorrei essere ribattezzato, in qualche modo rinascere dall’alto, per tornare purificato, resettare tutti i peccati, le difficoltà, le remore ed i lacci che talvolta frenano e arrestano il mio cammino. Capita, però, che il Signore, tramite lo Spirito, realizzi occasioni come gli incontri citati per fare un bagno rigenerante, per caricarsi di nuove energie che rianimano il cuore e l’anima con il fuoco delle parole e della testimonianza. Esse riecheggiano ancora dentro me e ringrazio chi si è impegnato all’ennesima potenza – soprattutto il nostro inesauribile e vulcanico Consiglio OFS di Gorizia sotto la sapiente regia del nostro Assistente Fra Luigi – per donarci questi testimoni preziosi, in attesa di Alessandro D’Avenia, Simone Cristicchi e Fra Pietro Maranesi per spiccare il volo oltre i confini e le frontiere per incontrare ed affrontare i nostri limiti.
E allora vado a rompere il silenzio e, come si diceva nel Far West “Don’t shoot the pianist”, ovvero lasciate illeso questo povero strimpellatore di parole e pensieri. Tantissime suggestioni, tante – forse troppe – verità che a volte incendiano il mio cuore, mentre in altre occasioni lo interrogano alla stregua di quanto accadde ai discepoli di Emmaus in fuga da Gerusalemme sommersi dalla tristezza, dal dolore e dalle tenebre miste a disperazione.
L’esordio di don Epicoco è stata l’immagine/metafora della mano del Signore sulla spalla di chi si affida a Lui e mi ha infuso una scintilla che ha riacceso il motore del mio animo. Mi sono detto che forse, proiettandomi nella parabola del buon Seminatore, sono il prototipo del tipo di terreno poco profondo nel quale il seme germoglia rapidamente, ma dove altrettanto velocemente inaridisce in quanto la pianticella non ha avuto modo di sviluppare le radici. Però so che il Signore ha il giusto seme da piantare nei nostri poveri ed infruttuosi terreni.
Fratello Confine e sorella Frontiera sono le arterie lungo le quali è stato chiesto a don Epicoco e Paolo Curtaz di portarci ad incontrare gli insiti limiti che caratterizzano il punto e l’infinito passando per tutte le dimensioni contenute in questi estremi. Don Luigi partendo dal racconto della Torre di Babele ha illustrato quanto questa costruzione, che secondo gli ideatori avrebbe dovuto raggiungere il cielo, era fondata sul narcisismo e cementata dalla comoda uniformità: delle idee, del modo di vivere, dei progetti, del giudicare e dello stare al mondo. Questa visione rappresentava l’antitesi della comunione – frutto faticoso della reciproca comprensione-, del rallentare il passo per procedere insieme, del comprendere lo straniero, dell’entrare nella prospettiva e nel punto di vista di chi ha un pensiero o una visione diametralmente opposta alla nostra… insomma la diversità è una cifra dell’umanità. Quindi Torre di Babele uguale moda, corrispettivo teologico di mondanità. San Paolo ci dice “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo” e Gesù “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto vorrei che fosse già acceso!” Don Luigi ci ha interrogato sulla nostra utilità di cristiani se viviamo come tutte le altre persone e ha ricordato che il Vangelo ha la funzione di scandalizzare, di indirizzarci ad andare contromano rispetto all’ordinario senso di marcia. Siamo stati creati unici e irripetibili, ma questa nostra peculiarità potrebbe condurci ad un non sentirci mai compresi fino in fondo ad una deriva di radicale, anzi infinita solitudine che può costituire una gabbia di disperazione, maledizione… in una parola INFERNO! Ma Gesù è concreto ed il cristianesimo non è una dottrina astratta… il Nazareno comprende tutte le difficoltà e le solitudini e quindi è una bestemmia quando, basandoci solo sulle nostre ingannevoli sensazioni, ci diciamo soli. La Pentecoste, come un nascente sole che dirada le tenebre, infonde coraggio, proietta fuori dal Cenacolo gli apostoli perché predichino con un nuovo idioma, che intercetta e si insinua nel cuore delle persone di tutte le etnie. È lo Spirito Santo che rende possibile questa comunicazione vincendo la solitudine e la frammentazione ed unendo tutti in una comunione universale. Quando una persona fa esperienza della grazia di Dio non esistono più stranieri ma fratelli, non ci sono più muri ma ponti. San Francesco da giovane era afflitto dalla sindrome di Babele, ma attraverso alcuni momenti di crisi è giunto alla scelta di offrirsi affinché il Signore facesse di lui un capolavoro unico. I suoi compagni lo cercavano perché nei suoi occhi vedevano il riflesso del tesoro che aveva trovato. Francesco chiedendo “Signore, che cosa vuoi da me?” prende sul serio il Vangelo. Si spinge a toccare i confini e le frontiere che rappresentano gli ultimi, confinati e segregati nei ghetti e lazzaretti, con l’oggi quale unico progetto e condividendo con essi sofferenza e speranza. Francesco è una lingua nuova: se ti fai riempire dall’amore di Dio, diventi uno strumento della sua pace, diventi lingua comprensibile, la tua vita diventa prossimità… non è questione di cultura ma di Spirito.
Paolo Curtaz parte da Abramo – scultore di idoli – che ha il coraggio di lasciare tutto quando si sente chiamato da Dio. Si libera degli idoli, creati con il suo lavoro, attraverso il gesto plateale della loro distruzione e smette di correre dietro agli idoli (terra, parentela, casa del padre) e, ormai anziano, si rimette completamente in discussione per andare a se stesso, fidandosi ciecamente di Dio.
Gesù, buon pastore, sa trovarci anche nei confini più reconditi, ed estrarre – anche quando non siamo ancora pronti – tutto il bello che c’è in noi. È Gesù che, contrariamente a quanto accadeva per i Rabbini/Maestri del suo tempo, va a cercare i suoi discepoli, tessere diverse di un policromo mosaico. Curtaz ci dice che come Chiesa possiamo essere profezia di un mondo nuovo, poiché edificata su ciò che ci unisce ovvero generati da un’unica radice, quindi tutti figli e, di conseguenza, fratelli. Come diceva San Paolo “Voi siete uno nella diversità” e se appartenete a Cristo siete anche discendenti di Abramo. L’incipit del Vangelo di San Giovanni con le istantanee “Che volete”, “Chi cercate?”, “Dove abiti?”, “Venite e vedete” ci illumina su quanto coinvolgente sia il rapporto con Gesù e quanto totalizzante sia la professione di pescatori di uomini. Curtaz, ovvero Paolino come simpaticamente si soprannomina, aggiunge che 2000 anni di Cristianesimo si possono sintetizzare nella frase “Tu sei amato” o, come affermava Isacco di Ninive, “Dio non può che amare”. Corollario di tale sconvolgente verità è che se ti scopri amato, allora scegli di amare e questo cambia il mondo. Ancora: Giovanni “Dio è amore” e Gesù “Questo è il mio (nuovo) comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come (poiché) io vi ho amati”.
Io non sono capace di amare, però se la fontana che sta a monte tracima e mi colma, allora sì, anch’io mi scopro capace di donare e riversare amore.
San Francesco è stato un pioniere ed è stato capace di dialogare anche con i cosiddetti infedeli perché sempre pronto a rendere conto della speranza che era in lui, credibile, disarmato e disarmante.
Curtaz ci invita ed esorta a fare la nostra piccola grande parte iniziando a costruire 1 metro quadrato di pace intorno a noi. Punto focale San Francesco, come nel dipinto di Gerardo Dottori (morte di San Francesco) nel quale natura, luce, Spirito si intersecano, si connettono in diversi eppure complementari e armoniosi centri di gravità.
Facendo sedimentare queste riflessioni e pensando a Francesco e, in genere agli altri Santi, mi dico che il comune denominatore è spesso la crisi come punto di svolta. Penso che tutti gli uomini sono simili a delle cellule staminali capaci di divenire angeli e demoni…la storia è piena di altezze siderali e baratri vertiginosi. Francesco si sente una creatura in comunione con il Creatore e con le altre creature, una comunione integrale e totalizzante che lo porta a comporre quell’inno inarrivabile di gioia, amore e ringraziamento che è il Cantico delle creature. Con Curtaz, possiamo dire che siamo tutti cercatori di Dio, ma quanto vogliamo investirci? Siamo disposti a dire come fece Francesco “Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto?”
Per chiudere il cerchio e sintonizzarmi nuovamente sull’argomento musicale concludo con Edoardo Bennato ed il tema della ricerca: “E ti prendono in giro se continui a cercarla (l’isola che non c’è), ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te”.
Paolo Tavano, Fraternità di Gorizia
Fraternità Regionale del Friuli-Venezia Giulia “Beato Odorico da Pordenone” 2025 – © RIPRODUZIONE RISERVATA
