Ri-esisti: oltre il confine… Itaca! – 16/10/2025
Nell’ambito dell’Autunno francescano, Alessandro D’Avenia incontra gli studenti, di Silvia Scialandrone (Fraternità di Gorizia)
Panovec gozd è il bosco che si estende per 380 ettari tra Nova Gorica e Kostanjevica. Ho scoperto questa foresta distante pochi chilometri da casa mia solo qualche giorno fa in uno splendido sabato d’ottobre. Con la mia Fraternità ho preso parte alla prima “tappa” di Passi francescani: un percorso ad anello con partenza dal Convento dei Frati Minori Cappuccini di Gorizia, quando l’aria è quella frizzante del mattino.
Nel primo pomeriggio, quando il sole è all’apice nel cielo azzurro e terso, vi abbiamo fatto ritorno per un pranzo condiviso nel Salone San Francesco.
Saluto Pizia che s’appresta a ripartire per Trieste con un “Arrivederci a martedì!” a cui lei risponde, dispiaciuta, che non ci sarà per il prossimo incontro con Simone Cristicchi in programma il 21 ottobre: “Non sentirei nulla e rincaserei triste e arrabbiata!” La guardo, la capisco, l’abbraccio.
Pizia, come me, ha le orecchie difettose.
“Cosa vengo a fare? Che senso ha?”
Rimango in silenzio, senza dare risposte che non ho.
E torno con la mente a mercoledì sera quando, con Monica, sono andata a Monfalcone a prendere Alessandro D’Avenia e Rossana, suo angelo custode, che arrivavano con il treno da Milano.
Mentre Monica guidava la sua Fiat 500L, io stordivo Alessandro e Rossana di parole: storie di Gorizia e Nova Gorica, fraternità e progetti e di me che prima di arrivare su quel pezzo di strada, su tante altre ho viaggiato per andare ad ascoltare Alessandro.
Eppure… non sento. Ci provo. Un po’ ci riesco e tanto no. Allora…che senso ha?
Mi fermo, chiudo gli occhi. Sono al centro della Sala Maggiore dell’UGG.
Sto riprendendo Alessandro che, a pochi metri da me, dialoga con un migliaio di studenti di alcune classi medie e delle scuole superiori di Gorizia. Sulle tribune gremite è presente anche una rappresentanza slovena proveniente da Aidussina.
Ragazzi e ragazze che hanno risposto all’appello con entusiasmo quando Alessandro li ha chiamati per nome; non il nome che qualcun altro ha deciso di dar loro nel momento in cui sono venuti al mondo ma il nome dell’Istituto o del Liceo di appartenenza.
Ragazzi e ragazze il cui vociare s’è fermato all’istante quando a tener lezione giovedì 16 ottobre è stato D’Avenia, insegnante in un Liceo classico di Milano, conosciuto a livello internazionale per i suoi romanzi, il film tratto dal suo primo libro “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, gli spettacoli teatrali, gli articoli del lunedì sul Corriere.
Ragazzi e ragazze che, all’invito di Alessandro di farglisi intorno con le loro domande, hanno lasciato il loro posto sugli spalti e il loro indirizzo (meccanico, classico, agrario, artistico, scientifico, tecnico, linguistico…), per cercare tutti risposte di senso.
Ragazzi e ragazze che, seduti in semicerchio sul pavimento di quella grande palestra, hanno giustificato la loro presenza e si sono interrogati sul destino del nome con cui sono venuti alla luce e sulla destinazione a cui sono chiamati dalla vita.
Seguo Alessandro attraverso lo schermo di uno smartphone mentre lui fissa il suo sguardo negli occhi di quegli studenti, che per una mattinata sono un po’ anche suoi, intercettando il desiderio più autentico di ognuno; indugia solo per mettersi in ascolto di ciascuno per terra, a gambe incrociate, al centro di una improvvisata classe.
È allora che posso fermarmi anche io. Mi guardo intorno e mi chiedo se tra quegli adolescenti c’è qualcuno che fa più fatica di altri a prestare attenzione. Mi chiedo se tra gli insegnanti ci sono dei Mentori che sanno riconoscere la vocazione di quei fanti che vogliono dire chi sono e chi vorrebbero diventare.
Mi chiedo cosa ci faccio io lì, in quella soleggiata giornata d’autunno, dietro ad una videocamera anziché dietro alla scrivania del mio ufficio.
Ho bisogno, in quel mio naufragare tra emozioni contrastanti, di punti fermi a cui aggrapparmi. Scorgo, qua e là, magliette verdi: sono quelle dei miei compagni in questo affollato viaggio di ritorno a casa. Sara, la maestra, che è stata la referente per questo progetto realizzato dalla fraternità francescana insieme ai frati cappuccini di Gorizia; Marco, con un piede dentro e un piede fuori dall’OFS, ma con il cuore tutto dentro tra l’infinito del suo amore per Sara e il Tau che campeggia al centro del logo; Anna seduta dietro al banchetto delle magliette con cui vorremmo vestire tutti coloro che credono, come noi, che Itaca sia proprio fratello confine che unisce le due città; Ado, Gianmarco e Mauro che hanno accolto al loro arrivo quei giovani italiani e sloveni e hanno sorvegliato sulla loro nostalgia di futuro per tutto il tempo dell’incontro; Monica, custode dei libri a che Alessandro ha firmato rompendo il protocollo ma sigillando il suo legame con i “suoi” studenti, è l’ancora di salvataggio in ogni Odissea; Roberto e Raffaella, artigiani di relazioni con gli sloveni, con le aggregazioni laicali, con l’ufficio scolastico, con i docenti e con gli studenti, che credono nei sogni che si trasformano in progetti quando si affrontano gli ostacoli; fra Luigi che, prima di venir travolto da quel migliaio di creature affamate di reale al suono del presente che li vuole mortali, ringrazia Alessandro che ha accettato di venire a Gorizia indossando le vesti di muratore, come Francesco all’inizio della sua carriera di frate, per costruire ponti là dove c’erano muri ed educando i giovani e gli adulti alla speranza, per diventare strumenti di pace e cittadini di una Capitale della cultura europea.
Allora chiudo di nuovo gli occhi e sorrido. Forse ho trovato una risposta di senso.
Sono tutti loro la mia risposta: i giovani che sono giovani come lo sono stata anche io, i professori, le magliette verdi. E ancora: Roberta, la mia collega che è rimasta vicina ad Elisa, presidente dell’UGG, che ci hanno dato il pacco regalo per questo sogno che è diventato un progetto che possiamo realizzare solo se ci crediamo insieme. E Rossana, promoter e gestrice di eventi della Mondadori che ci ha dato fiducia (tante sono le richieste per avere D’Avenia in tutta Italia e anche all’estero) fin dall’inizio. E Alessandro che, prima di ripartire, continua a stringere mani, a tenere tra le dita la penna con cui scrive dediche su decine di copie dei suoi romanzi, a sorridere nelle foto che tutti, siano essi Ulisse, Penelope o Telemaco, vogliono fare con il loro Mentore.
Quando riapro gli occhi sto mangiando un panino con le patatine in un pub del centro con i miei fratelli, le mie sorelle, Rossana ed Alessandro. Ed è tutto così naturale.
Anche pregare insieme, prima di alzare i calici di birra.
“Come se ci conoscessimo da sempre.” ha detto Alessandro la sera prima.
Che senso ha? A volte sento il 60 per cento, altre il 30, qualche volta lo 0 per cento.
Ma se non ci provassi sarebbe comunque 0.
Se non ci fossi al Mondo mancherebbe quello che posso fare io ed io soltanto.
E ho imparato cosa vuol dire dare anche quello che non si ha.
Mi basta? No. Vorrei il 40 per cento che mi manca, il 70 per cento, anche il 100%.
“Volere è potere” è il motto dell’UGG.
Non è così: ci sono dei limiti che non possiamo superare perché siamo umani.
Ma sono comunque parte di qualcosa di più grande.
E dove finisco io, inizia un altro.
È stato così anche per “Ri-esisti: oltre il confine… Itaca!”
Volere insieme è potere. Così è più giusto.
“Alessandro non è più solo tuo” mi dice Anna “Adesso è un po’ di tutti noi.”
È proprio quello che volevo. È proprio quello che volevamo tutti.
Quando Alessandro e Rossana salgono sul treno che li riporterà a casa, con Monica torno dai miei compagni con la maglietta verde. Torno a casa.
Tra i sentieri di Panovec gozd, un paio di giorni dopo, ad un certo punto lascio il resto del gruppo. Ho bisogno di ri-esistere. Tornare a me.
Cammino e alzo gli occhi: oltre gli alti e fitti alberi uno squarcio di cielo.
“Sono un contemplativo.” raccontava di sé Alessandro “Me ne starei tranquillo, invece di andare in giro a parlare con centinaia di persone. Per dire cosa, poi? Ma Qualcuno mi dice: vai e ri-genera coloro che ti ho affidato.”
Ho il magone. Un groppo in gola che vorrebbe salire e uscire dagli occhi.
Nostalgia di vita. Quella che ho ricevuto e quella che non potrò avere.
Anche io, in fondo, vorrei tirare i remi in barca.
Vivere, spesso, mi è difficile, faticoso.
Ma poi non potrei fare a meno del senso che ho dato alla mia vita: gli altri.
Quel che ho dentro esce e un raggio di sole fa brillare le lacrime che si raccolgono lì, su quella linea di frontiera tra me e Dio. Sorrido. E Gli dico: “Grazie”.
Silvia Scialandrone, Fraternità di Gorizia
Fraternità Regionale del Friuli-Venezia Giulia “Beato Odorico da Pordenone” 2025 – © RIPRODUZIONE RISERVATA
