Se la ricchezza è vivere con due briciole… forse poco più – 21/10/2025

Simone Cristicchi- 21/10/2025

Nell’ambito dell’Autunno francescano, un pomeriggio con Simone Cristicchi, di Paolo Tavano (Fraternità di Gorizia)

Era una notte buia e tempestosa, o meglio un pomeriggio imbronciato e dal volto rigato da copiose lacrime.

Ore 16. Simone Cristicchi dall’alto della sua statura – in senso lato – e con i suoi capelli sempre ispirati, come peraltro tutta la sua persona, fa il suo ingresso nella Chiesa dei Cappuccini. Molte sono le persone arrivate, appunto, sfidando un tempo inclemente, o come avrebbe detto San Francesco benedetto da sorella pioggia, ad un orario non esattamente da “prime time”, per godersi questo artista. In qualche modo consapevoli di incontrare un uomo che sa toccare e far vibrare le corde più profonde del nostro intimo, ovvero dal latino cordis il cuore quindi l’anima, la nostra parte più recondita e preziosa. E Simone non si smentisce deliziandoci ed interrogandoci con la canzone “Lo chiederemo agli alberi”. Gianmarco Madeo con i suoi spunti e domande ci aiuterà, tra una canzone e l’altra, a svelare e farci conoscere la vera essenza di Cristicchi. La genesi del suo percorso di artista avviene in una circostanza tragica, la perdita del giovane papà quarantenne. Simone ci trasmette con le parole, ma soprattutto con l’espressione dei suoi occhi ciò che provò in quella tragica circostanza: un sentimento di rabbia mista a spaesamento che lo portò, in prima battuta, a non voler vedere più nessuno e rinchiudersi nella sua cameretta. Ma allora successe qualcosa. Quelli “bravi” spiritualmente direbbero che da ogni cosa, quindi anche da un episodio così straziante, viene un bene. Per il piccolo Simone di 10 anni fu l’ispirazione per riempire lo spazio fisico e temporale, colorando, componendo versi, ideando bizzarri e bislacchi personaggi dei fumetti. Questa fantasia, questo germoglio artistico hanno permesso di dare colore e vividezza al grigiore che si sarebbe prospettato se lui non avesse spiccato il volo e si fosse librato al di sopra delle ovvie difficoltà e tristezze, per tornare così alla vita reale proiettato, però, in una nuova dimensione. L’arte è in qualche modo divenuta la pietra filosofale per trasformare il suo dolore in poesia.

Si tocca poi il tema delle malattie mentali ed è ovvio ritornare al 2007 quando il nostro protagonista con “Ti regalerò una rosa” si affermò a Sanremo. Simone nel citare Vasco Rossi “la vita è tutta un equilibrio sopra la follia” ci ricorda una grande verità, finalmente fatta propria anche dai medici che oltre a prescrivere farmaci, raccomandano caldamente una cura basata su relazioni umane… vere!

A questo punto, come argutamente insinuato anche da Gianmarco, emerge la linfa francescana che impregna e rende così speciale Cristicchi. L’artista invita a fare come San Francesco che si denudò del proprio ego per far entrare l’altro, il prossimo, soprattutto gli ultimi. Rapportarsi con l’altro è in qualche modo un riverbero dove, come riflessi di uno specchio, emergono pregi e difetti… propri ed altrui. Il celeberrimo incontro dell’assisiate con il lebbroso rappresenta, secondo Simone, il risveglio, ancora meglio l’illuminazione. “Illuminazione” che mi porta alla mente il Santo di cui porto il nome sulla Via di Damasco. Illuminazione uguale punto di rottura, spartiacque, vita o meglio amore (a-mortis uguale non morte) e non vita… bivio! Da un lato il ricco cavaliere chiamato a rincorrere effimeri momenti di gloria umana. Dall’altro il cavaliere di Dio, forgiato e temprato dal bacio alla mano segnata dalla lebbra e dal dono del denaro a questi fratelli ultimi perché abbandonati ed allontanati da tutti. Simili a degli appestati per i quali l’unico abbraccio possibile e consentito era con questa terribile malattia, il cui nome – immagino – avesse l’effetto, per chi ne era contagiato, di un grido di disperazione. Forse qualcuno di noi ne ha sperimentato una pallidissima versione se affetto dal Covid aveva quale conseguenza, oltre all’incertezza sull’esito della patologia, il doversi rinchiudere, isolarsi per evitare al massimo i contatti con gli altri.

Per divenire un vero cavaliere ci vuole una dura battaglia per sconfiggere se stessi, i propri limiti, le paure perché il vero nemico è dentro di noi. Sulle orme di Francesco capace di cambiare prospettiva, di passare dalla sponda della paura, navigando il fiume della vicinanza, all’argine della comprensione. Capace ancora di fare proprio lo sguardo paterno di Dio per comprendere che siamo tutti connessi in quanto figli di Dio.

Dalla chitarra si irradiano le note di “Le poche cose che contano” e mi ritrovo ad essere trasportato in universo di bellezza, di valori genuini come la natura, come i sapori ed i profumi sedimentati nella memoria di un bambino che forse, anzi probabilmente, purtroppo non c’è più.

Cristicchi poi parla dello spettacolo “Magazzino 18”, nato a Trieste quando nel 2011 il nostro artista, raccoglieva testimonianze sulla Seconda Guerra Mondiale, ed era simpaticamente visto come terrore dei centri per anziani, mentre gli attempati ospiti erano, a loro volta, definiti “pezzi da museo”, si può ben dire, per il loro valore storico. La visita al celebre magazzino lo colpì per quanto gli oggetti lì conservati, ancora oggi sussurrano a chi li osserva, le testimonianze dello sradicamento di un popolo dalla propria terra, dalle proprie radici, avvenuto con l’esodo del 1947.

Si giunge, infine, al tema della spiritualità. L’uomo, secondo Cristicchi, è un minatore di ricordi sotto forma di pepite. Cita il verso “Ti sei mai guardato dentro?” in quanto in noi c’è un senso di separazione da uno stato primordiale di unione. Secondo Heidegger veniamo gettati nel mondo, quindi abbiamo nostalgia dell’infinito, questo mistero grande, anzi sconfinato come un nitido cielo stellato d’estate nel quale ci si trova a precipitare se solo volgiamo il nostro sguardo e veniamo calamitati verso i lucenti astri. Simone è in qualche modo uno studioso della geografia dell’anima con l’ausilio di sacerdoti e religiosi anche di altri credi. Come chiaramente emerge pure dai testi delle sue canzoni, non teme di avventurarsi nelle profondità dell’anima. Alla domanda postagli dalle suore clarisse del convento di Lovere “Tu credi in Dio?” Egli rispose “Lo sto cercando” ed esse gli replicarono “Anche noi”. Anche Curtaz si definì un cercatore di Dio. Penso che chi è depositario di certezze granitiche è solo perché, per un motivo o per l’atro, non si è ancora posto domande, dubbi, o per qualche motivo non si è messo in discussione… non vi è luce senza ombra, non vi è oscurità senza un minimo di chiarore. Ma la fede implica un campo di battaglia, un’arena dove a volte va in scena un combattimento con se stessi, con i propri pregiudizi. Cristicchi, che ha portato in teatro Franciscus e Abbi cura di te, ricorda Francesco il quale sintetizzava con la sua vita il Vangelo “sine glossa” ma era, in qualche modo, contrario alla lettura di altri testi. Questo perché auspicava che i suoi fratelli e sorelle potessero essere, essi stessi, con le proprie opere vere ed essenziali nuovi capitoli del romanzo della Vita. Ricorda Walt Whitman “Quale sarà il tuo verso?”, che mi riporta alla mente il meraviglioso film “L’attimo fuggente”.

 Anche in un umile chicco di grano si può nascondere l’universo se osserviamo con attenzione, qualità che rappresenta la strada verso l’immortalità. Il potere ai giorni nostri investe per far sì che la disattenzione conquisti sempre più il nostro tempo e le nostre giornate. Al contrario, volgere l’animo verso qualcosa al di fuori di se stessi permette di evadere dalla prigione del proprio io, prendendosi cura e prestando attenzione ad altro ed agli altri. Simone poi si confronta con una parola chiave del francescanesimo: umiltà. Secondo l’artista, essere umili è una metafora di un campo arato. Essere senza confini, con la potenzialità di poter ricevere ogni sorta di semi che germoglieranno donando consapevolezza, bellezza e sapienza. È ’umiltà dell’albero vocato, ovvero chiamato, ad un amore incondizionato per offrire a tutti gli esseri viventi quanto necessario al loro sostentamento. È saper dire grazie per tutto ciò che senza alcun merito troviamo già apparecchiato alla grande mensa della nostra magnifica terra.

Il cerchio di questo incontro, denso come un buco nero e capace di travalicare i confini edificati con i sedimenti di convinzioni e abitudini stratificate con il tempo, solidificate dal comfort si conclude con “Abbi cura di me” sintesi di tutte le perle di saggezza che abbiamo raccolto in questo incontro. L’ascolto di questa canzone che, secondo me, andrebbe centellinata nota dopo nota come un inestimabile elisir, mi ha commosso e fatto volare soprattutto vedendo quanto trasporto e commozione sapeva trasmettere ad un ragazzo, dall’animo sensibile, che per un breve – eppur infinito momento – si era sublimato in parole e musica di questa poesia allo stato puro.

Abbracciami se avrò paura di cadere… abbi cura di me. L’amore è la scintilla divina che custodisci nel cuore. Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare, tu stringimi forte e non lasciarmi andare… abbi cura di me.

La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere, perché tutto è un miracolo, tutto quello che vedi!

Paolo Tavano, Fraternità di Gorizia

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